regolamento contrattuale e spese

Regolamento contrattuale in tema di spese

Avv. Anna nicola

Il regolamento contrattuale può sancire una ripartizione delle spese diversa da quella disposta dal codice civile (Cass., 20/03/2006, n. 6158).

L’art. 1138 c.c. non qualifica le relative norme come disposizioni intangibili. La Cassazione con l'ordinanza n. 19714/2020 afferma che il comma 4 dell'art. 1138 c.c. contiene in realtà il principio per cui "dichiara inderogabili le disposizioni del codice concernenti l'impossibilità di sottrarsi all'onere delle spese, l'indivisibilità delle cose comuni, il potere della maggioranza qualificata di disporre innovazioni, la nomina, la revoca ed i poteri dell'amministratore, la posizione dei condomini dissenzienti rispetto alle liti, la validità e l'efficacia delle assemblee, l'impugnazione delle relative delibere."

Le norme in tema di distribuzione degli oneri economici dei beni e servizi comuni (artt. 1123 – 1126 c.c.) sono derogabili per volere delle parti.

La deroga è fattibile solo con il consenso di tutti i condomini, implicando un peso economico maggiore o minore in capo ai condomini. Ne consegue che soltanto il regolamento contrattuale -e non anche quello assembleare- può derogare ai principi della ripartizione delle spese dei beni del condominio, dovendo esservi l’accettazione da parte di tutti i condomini. Esso può essere formato dal venditore-costruttore al primo atto di compravendita di un alloggio del palazzo e via, via accettato dai vari acquirenti delle altre unità immobiliari o può essere assunto in sede assembleare in modalità unanime.

Si pensi ad esempio alle spese di manutenzione dell’ascensore o delle scale: se non vi è una clausola contrattuale del regolamento, queste spese seguono il regime previsto dall’art. 1124 c.c.:” Le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.

Il regolamento contrattuale potrebbe sancire invece un’identica distribuzione di queste spese in capo a tutti i condomini, non seguendo il dettato dell’art. 1124 c.c.

Il regolamento contrattuale può avere clausole di portata diversa. Se la clausola non deroga alle norme codicistiche o non crea vincoli di diritti reali sugli immobili (come ad es. per laservitù di passaggio del ballatoio) il suo contenuto è modificabile in assemblea. Trattandosi di clausola assembleare, anche se assunta con il consenso totalitario, il suo oggetto è ordinario, potendo anche essere deliberata per la prima volta in assemblea. Si parla quindi di regolamento di nascita contrattuale solo per la forma ma di contenuto assembleare per la sostanza. In ragione del suo contenuto (che non deroga al codice e non detta vincoli reali), può essere modificata in sede di assemblea, seguendo i criteri legislativi ordinari ex art. 1136 c.c.

Se invece la clausola limita i diritti dei singoli e/o della collettività ovvero detta una particolare distribuzione delle spese comuni in deroga alle relative norme, è necessario l’assenso unanime dei condomini per variarne il contenuto. Ritornando all’esempio della servitù sul ballatoio, solo il consenso di tutti i condomini può comportare la riduzione o l’espansione di questo diritto in capo ai condomini passivi o la sua creazione in altro luogo comune dell’edificio. Al contrario, le clausole assembleari possono essere modificate a maggioranza in quanto esse non incidono sulle singole proprietà. La clausola assembleare non potrebbe modificare la clausola consensuale del diritto di passaggio sul ballatoio.

Ragionamento a sé vale per il sottotetto, contemplato dall’art. 1117 c.c. quale bene condominiale. Esso è tale se ha dimensioni da qualificarsi come vano autonomo, sotto il profilo della cd. destinazione del bene. Così non sempre è perché il costruttore può cancellare questo diritto in sede di regolamentazione dei rapporti con gli altri condomini sia in sede dei singoli atti di compravendita, a partire dalla prima vendita, sia in sede di redazione del regolamento. In questo modo il sottotetto viene legittimamente sottratto alla sua destinazione comune per assumerne solo valore di proprietà individuale. Lo stesso vale quando ha dimensioni di camera d’aria, di protezione dell’alloggio sottostante, andando a costituirne pertinenza.

Per la ripartizione spese, l’unanimità è necessaria perché, ad esempio, poniamo che una spesa complessiva ex art. 1123 primo comma c.c. sia da ripartire tra tutti ma tutti i condomini sanno che il sig. X usufruisce molto poco del servizio di portineria essendo il suo alloggio al piano terreno ed occupandosi di pulire lui gli spazi adiacenti al suo immobile, oltre ad essere in precarie condizioni economiche. Qui l’assemblea può non solo ridurre il quantum a cui è tenuto questo signore ma addirittura azzerare il debito a suo carico, dicendo che questi non parteciperà mai di questa spesa. L’assemblea lo può fare se tutti i condomini sono consenzienti, perché la quota minore o l’eliminazione della quota accresce le quote di debenza degli altri. Quindi occorre l’unanimità dei consensi per una sorta di do ut des.

Anche se assunto con il consenso unanime, il regolamento non può mai derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119 (divisone), 1120 (innovazione), 1129 (amministratore), 1131 (poteri rappresentanza), 1132 (dissenso alle liti), 1136 (assemblea) e 1137 (impugnazione delibera). Questa indicazione ce la offre l’art. 1138 c.c.

Nel caso esaminato dal Trib. Roma con la decisione n. 2786 del 16 febbraio 2021 il venditore-costruttore aveva inserito nel regolamento contrattuale la clausola di totale esonero di se stesso dalle spese condominiali, Il Giudice l’ha ritenuta nulla.

Il criterio generale dettato dall’art. 1123 c.c. può essere infatti derogato. Tuttavia ciò non può avvenire senza rispettare i presupposti di validità sanciti dal combinato disposto degli artt. 1418 co. 2 e1325 n. 2 cod. civ.

“Nel caso prospettato dall'opponente il criterio di ripartizione, asseritamente convenzionale, si risolverebbe nell'esonero dalla partecipazione alle spese della società costruttrice, originaria unica proprietaria del fabbricato. Sicché una siffatta condizione soggettiva opererebbe come una causa di esclusione dell'insorgenza dell'obbligazione condominiale, ossia, più precisamente, come un fatto impeditivo limitatamente alla società costruttrice. Un criterio di ripartizione così congegnato, e caratterizzato dalla citata causa di esclusione consistente nella condizione soggettiva della società costruttrice, non poggia su una razionale ragione economica.” Quindi una condizione soggettiva (che in ipotesi potrebbe essere anche meramente casuale) si erge a causa di discriminazione economica, in quanto tale illecita.

Inoltre, il regolamento (contrattuale o assembleare che sia) non può vietare ai condomini di possedere o detenere animali domestici.

L’amministratore deve inoltre verificare che al registro delle assemblee sia allegato il regolamento di condominio, ove sia stato adottato (art. 1129 c.c.).

Le clausole del regolamento devono essere rispettate da tutti i condomini, nella loro interezza. Se ad esempio vige il divieto di stendere i panni sul balcone, nessun condomino può contravvenirvi. Se non viene ottemperato, l’amministratore può inviare una comunicazione in cui diffida il condomino noncurante. Se la diffida non sortisce esito, o anche senza il previo invio della diffida, non essendovi alcuna norma che ne sancisca l’obbligo, il mandatario del palazzo può agire in giudizio per ottenere il rispetto del regolamento (Cass. 29 aprile 2005, n. 8883). Trattasi di uno dei suoi principali compiti come indicati dal nostro codice civile.

Poiché il condominio è materia di obbligatorio accesso in mediazione, prima di promuovere l’azione giudiziale, il mandatario deve previamente adire l’organismo di mediazione -la cui ubicazione è data dalla competenza territoriale del condominio in questione- nel tentativo di conciliare la controversia e evitare la causa.

La Corte Suprema (Cass., 18/3/2002, n. 3944) ha affermato che la clausola del regolamento, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell’edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, è pienamente valida posto che il diverso e legale criterio di ripartizione di quelle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino è liberamente derogabile.

Si è affermato, infatti, che una tale deroga non può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione non derogabile dell’art. 1136 c.c. ovvero su quella dell’art. 69 disp. att. c.c., che disciplinano i differenti temi della costituzione dell’assemblea, della validità delle delibere e delle tabelle millesimali (Cass. civ., 18/03/2002, n. 3944).

Nel caso da ultimo esaminato, il criterio di ripartizione delle spese condominiali, di cui all’art. 1123 c.c., non era stato applicato in quanto una clausola di natura contrattuale del regolamento condominiale prevedeva la ripartizione in quote uguali delle spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell’edificio; in tale vicenda il numero delle quote è stato commisurato al numero effettivo delle unità immobiliari dello stesso.

Tuttavia, ove manchi una diversa convenzione adottata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c., comma 1, non essendo, consentito all’assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio “capitario” (cioè in parti uguali) gli oneri necessari generali per la prestazione di servizi di pari portata per tutti, nell’interesse comune (Cass. civ., Sez. II, 21/02/2018, n. 4259). Salvo che non si tratti di fattispecie rientranti nelle diverse regole dettati dai successivi commi dell’art. 1123 c.c.

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